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La newsletter economy

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di 
Clara
 
Attene
di: redazione
15/9/2020
La newsletter economyLa newsletter economy

Il New York Magazine l’ha battezzata “newsletter economy”. Il Washington Post parla invece di “mini imperi dei media”. La sostanza è che, mentre l’emergenza sanitaria determinata dal coronavirus restringeva i budget delle testate nazionali e locali – ma questo non è l’unico motivo -, diversi giornalisti hanno deciso di avviare, singolarmente e in qualche caso in team, nuovi prodotti editoriali sotto forma di newsletter.

Una delle piattaforme più diffuse è Substack – ma ci sono, ad esempio, anche Ghost e Revue – che consente di produrre newsletter gratuite e a pagamento e che ospita prodotti come The Dispatch, testata-newsletter di stampo conservatore; le riflessioni della storica Heather Cox Richardson, che contestualizza le principali notizie sugli Usa in una prospettiva storica; Bill Bishop, ex firma del New York Times e di Axios, che quotidianamente su Sinocism parla di tutto ciò che riguarda la Cina. Ma c’è anche la scrittrice e comica Sam Irby – qualche mese fa avevamo parlato del suo ultimo libro in una delle nostre aperture domenicali – e l’esperto di tecnologie Azeem Azhar, con la sua Exponential View.

Dal punto di vista dei lettori, il piatto è goloso per chi desidera coltivare un interesse, approfondire dei temi, a scopo personale o professionale, avere un filo diretto – fattore affatto secondario – con uno o più dei propri autori preferiti. E per tutto questo è disposto a investire.

Dall’altro lato dello schermo, per chi scrive, la newsletter può rappresentare un’alternativa per lavorare e guadagnare in autonomia. Senza illusioni: il percorso verso la redditività non è automatico, ma osservando il mercato, specie se si utilizza una lingua franca come l’inglese, e mettendo in conto tempi di sviluppo nell’ordine di almeno un paio d’anni, una newsletter che trova una propria nicchia di contenuto e di pubblico può diventare, perlomeno, una delle fonti di reddito di un giornalista.

Substack, che guadagna in percentuale sugli abbonamenti mensili e annuali sottoscritti per ciascuna newsletter, ha anche creato un sistema per favorire il lancio di nuovi contenuti. Il supporto include copertura legale e dei fondi, il cui importo può variare tra tremila e centomila dollari, che funzionano come una sorta di anticipo, ispirato a quello che le case editrici offrono agli autori più promettenti. Ne ha beneficiato ad esempio Emily Atkin, ex redattrice del magazine New Republic ed esperta di ambiente che oggi lavora interamente, con il supporto di un’assistente per le ricerche che ha assunto, su Heated, la sua newsletter dedicata al cambiamento climatico (Wired).

Un ultimo punto da osservare, come ha scritto David Brooks sul New York Times, è l’impatto di questi prodotti sul dibattito pubblico su alcuni temi. La newsletter è, in un certo modo, uno “speakers’ corner” che consente all’autore libertà di espressione e, dall’altra, consente altrettanta – non scontata – “libertà di ascolto” al lettore.

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